Il libro 22esimo dell’Odissea è il libro del riconoscimento, del sangue e della vendetta.
Dopo 20 anni di assenza Ulisse torna nella sua isola Itaca e si fa riconoscere dalle poche persone rimaste a lui fedeli, tra cui il figlio Telemaco e la moglie Penelope, la vecchia nutrice e pochi altri servitori.
Durante la sua assenza 109 giovani nobili di Itaca e delle altre isole vicine si erano insediati nel suo palazzo aspirando alla mano di Penelope e quindi al suo trono. La donna li aveva tenuti a bada per anni con lo stratagemma della tela che tesseva di giorno e disfaceva di notte.
Con l’aiuto del figlio Telemaco e della dea Atena, Ulisse – travestito da mendicante – elimina uno a uno tutti i pretendenti durante la gara di tiro con l’arco organizzata dalla moglie Penelope per scegliere definitivamente il suo futuro sposo.
Uno degli aspetti più interessanti dei poemi epici è che la leggenda e la fantasia si intrecciano continuamente con fatti davvero accaduti. Analizzando gli eventi celesti dell’epoca alcuni studiosi argentini hanno determinato la data esatta della strage dei Proci che sarebbe avvenuta il 16 aprile del 1178 a. C.
Dopo l’episodio della vendetta contro i Proci Omero racconta che Ulisse tornò a regnare su Itaca e il poema si conclude. Secondo Dante Alighieri, invece, Ulisse non riuscì a resistere alla sua voglia di scoperta e di avventura e quindi poco tempo dopo il suo ritorno ripartì da Itaca alla volta delle Colonne d’Ercole (il confine del mondo allora conosciuto). Ed è così che nella Divina Commedia Dante incontra Ulisse nel XVI canto suo Inferno. Qui l’eroe greco recita la famosa orazione all’equipaggio per motivarlo a seguirlo:
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza.